“Più polvere in casa meno polvere nel cervello”
Da questa esperienza sono nati un libro (Pensieri vagabondi di Amalia Molinelli) e un film documentario (Scuola senza fine di Adriana Monti)
Nel passato della Bovisasca c’è questa esperienza rivoluzionaria che
NON DEVE ESSERE DIMENTICATA.
Nel 1976, nel quartiere Montecatini, in Bovisasca, presso la scuola media di via Gabbro 6, un gruppo di donne prevalentemente casalinghe, riuscì a far partire un corso di 150 ore, che proseguì fino al 1982, per conseguire il diploma di scuola media.
Fu il primo passo verso quella che oggi chiameremmo ‘educazione permanente degli adulti’.
L’idea originaria delle 150 ore, elaborata nel sindacato CIGL prendendo spunto dall’esperienza francese del bonus orario per la formazione professionale che prevedeva permessi retribuiti per lo studio, ha attinto anche da altre sperimentazioni come le lezioni di Alberto Manzi nel programma tv Non è mai troppo tardi che spesso venivano seguite in modo collettivo anche da gruppi d’ascolto in fabbrica e con le quali molti presero la licenza elementare, e anche da Lettera a una professoressa di Don Milani e dei ragazzi di Barbiana.
Donatella, figlia di Amalia Molinelli, una delle corsiste, ci regala qualche ricordo:
Quell’autunno venni a sapere che presso la scuola media di Via Gabbro avrebbero organizzato dei corsi 150 ore anche per le casalinghe.
Questi corsi erano stati una conquista sindacale dei lavoratori: duravano un anno scolastico e davano la possibilità di ottenere, alla fine del corso, il diploma di scuola media inferiore (necessario a volte per quei passaggi di carriera che avrebbero comportato un aumento di stipendio). Si tenevano al pomeriggio ed i lavoratori che volevano parteciparvi avevano il permesso di potersi assentare dal lavoro.
Inoltre queste assenze erano retribuite dal datore di lavoro per ben 150 ore, da cui il nome del corso.
Avevo letto dei cartelli in quartiere che pubblicizzavano una riunione in cui si sarebbe parlato di questi corsi ed obbligai mia madre ad andarci. Io l’accompagnai: volevo capire bene come funzionava la faccenda, non mi fidavo di lei che era poco attenta alle questioni burocratiche tipo iscrizioni, orari, documenti necessari, ecc. Volevo essere sicura che si sarebbe iscritta a questo corso per farla uscire un po’ di casa, per farle fare qualcosa per lei che la tirasse un po’ fuori dalla depressione. Volevo che trovasse delle amiche con cui parlare e confrontarsi. Ero stanca di vederla sempre in casa sola e che, una volta finiti i lavori domestici, non aveva altro da fare che sferruzzare. Dovevo riempirle un po’ la vita.
Non fu facile riuscire a convincerla a ritornare sui banchi di scuola a cinquant’anni:
Quando poi cominciò, non si fermò più.
Si trovò insieme a tante donne con le sue stesse problematiche di casalinga frustrate da una condizione di isolamento e di mancato riconoscimento, da parte della propria famiglia e della società, del valore del proprio lavoro che era continuo e senza orari. I mariti avevano un orario di lavoro specifico al di là del quale non collaboravano in niente perché loro “andavano a lavorare”. Tutto era loro dovuto: la tavola apparecchiata, la cena pronta, i vestiti stirati.
Non c’erano feste o orari nei quali non si dovesse essere comunque a disposizione.
Le donne che lavoravano poi, si sobbarcavano il doppio lavoro: fuori casa ed in casa.
Nessuno aveva mai osato mettere in discussione questa divisione dei ruoli, nemmeno loro che ora si trovavano dentro un’aula a parlare dei loro problemi, dei loro disagi e dei loro sogni.
a destra Amalia Molinelli , al corso delle 150 ore di Affori/Bovisasca, Milano, 1976
L’esperienza è ancora viva se in un recente articolo il Post scrive nel settembre 2023:
Ad Affori, un quartiere di Milano, nasce una sperimentazione che diventa seminale e rivoluzionaria. La scrittrice femminista Lea Melandri fu trasferita qui nel dicembre 1976 e assegnata a un corso per adulti alla scuola in via Gabbro. «La mia speranza era di incontrare delle donne. Questo mi dava la possibilità di portare nell’insegnamento quello che mi veniva dal mio impegno nei gruppi femministi». Si ritrovò in una classe con 40 donne e 3 o 4 uomini. «L’emozione è stata tale che mi sono seduta e una donna mi ha scambiato per una corsista, mi ha detto: non ti preoccupare, finora non abbiamo fatto niente con la supplente».
Le allieve di Melandri erano quasi tutte casalinghe (la maggior parte ha più di 40 anni), che erano riuscite con fatica a far aprire un modulo per le 150 ore nel loro quartiere. «I sindacalisti non capivano perché le casalinghe avessero bisogno di tornare a scuola per una licenza che probabilmente non avrebbero usato». La scuola di Affori non è «una scuola operaia». In classe molte per la prima volta discussero come donne e come madri, confrontarono le loro biografie, i contesti da cui provenivano e in cui vivevano.
«La felicità della scoperta di sé viene immediatamente trasferita in scrittura», ricorda Melandri. Dei molti testi prodotti ne resta uno esemplare: I pensieri vagabondi di Amalia, pubblicato in un’edizione militante, oggi purtroppo quasi introvabile. Amalia è Amalia Molinelli.
Nella prima parte riflette sulla propria biografia, di contadina negli anni del fascismo, poi di partigiana, di lavoratrice nelle risaie, di “serva” nelle case di città dei ricchi, di mezzadra, poi di emigrata a Milano, di madre di una figlia, e di casalinga socialmente isolata.
Nella seconda parte racconta l’incontro con le 150 ore, lo studio: Molinelli mette a tema la sudditanza culturale, confrontando la sua esperienza con i testi che legge, Platone, Galilei, Freud, Barthes. Cosa ha a che fare il materialismo storico di Marx con il suo lavoro domestico?
Nel documentario Scuola senza fine di Adriana Monti sulla scuola di via Gabbro si vede Molinelli ragionare sulle teorie di fisica atomica. È netta e ironica, anche quando riflette sul suo percorso di emancipazione: «Certo, il femminismo è noioso, ma solo perché denuncia la noia che è implicita nell’obbedienza. L’obbedienza è noiosa perché distrugge la libertà. È noiosa perché rivela la noia del sì ripetuto da secoli a uomini saccenti e petulanti e spesso volgari, che di solito amano misurare la loro superiorità intellettuale soltanto su donne sceme.
La classe delle 150 ore di via Gabbro
TESTIMONIANZE di Amalia Molinelli (una corsista residente in Bovisasca), tratte dal libro “Pensieri vagabondi di Amalia”:
In via Gabbro è stato formato un corso monografico (l’anno precedente c’era stato il corso 150 ore) e in un primo tempo tutti volevano frequentarlo, ma poi dato che non è stato finanziato dalla Regione, nonostante il gran numero di insegnanti che si sono offerti gratuitamente, questo corso si sta facendo sempre più scarso e le assenze sono molte anche da parte di chi voleva formarlo. Forse ciò è dovuto al fatto che queste persone non avevano capito bene di cosa si trattasse.
In tutte le insegnanti che abbiamo avuto sia nelle ”150 ore” che nel corso monografico ho trovato libertà e comprensione, sincerità e amicizia e mi sono trovata bene con loro che ti sanno spiegare tante cose e che forse da tante altre non sono capite e comprese. Non so se sono molto chiara, ma è stata la prima volta nella mia vita che ho incontrato gente così buona. Non parliamo poi della Lea Melandri che è veramente un’amica, io la chiamo “l’amica del popolo” ma di un popolo incompreso da tutti e che lei capisce.
Ci stiamo preparando e riunendo, ogni venerdì, per poter programmare un biennio scolastico per donne che in passato sono vissute, ignare e beate, nell’ignoranza. A ogni assemblea gli insegnanti ci propongono programmi impegnativi che comprendono materie come chimica, fisica, biologia, arte, e qualcuna si allarma: «Ma che cose difficili dovremo mai studiare!». Io penso che si tratterà solo di riuscire a capire i lineamenti generali di ogni materia, gli argomenti, che per noi sono così difficili e che nessuno ci ha mai spiegato. Quello che sappiamo, a grandi linee, l’abbiamo appreso dai giornali e dalla televisione, ma sempre in modo impreciso e confuso.
La prima volta che affrontammo l’argomento della semiologia, mi chiesi che poteva mai essere quell’intruglio di significati che ricavavamo da quella parola. Adesso, invece, se ci penso, dico: «Ma tutto quello che ho davanti è tutta una semiologia!» Ed è fin dai tempi remoti che la gente ne fa uso: ci si capiva con segni e incisioni varie per darci un linguaggio, una storia, che è arrivata fino ai giorni nostri.
Poi leggo “Pane e studi” Cosa vuol dire? Che appunto il materialista ignorante ti dice che la cultura non si mette nel piatto e quindi è da scartare lo studio, perché lo studio, il guadagno, ti danno più soddisfazioni: ti farai una casa migliore, una bellissima toelette, tanti gioielli… Ma uno cos’ha, quando è pieno di soldi e tutto sfarzoso, se dentro al cervello non ha niente? Io, questo individuo lo chiamo sacco vuoto. Anzi un fagotto che si arrabatta in questo mondo così grande che ci accoglie tutti così come siamo.
Sono arrivata all’incirca sui cinquant’anni senza mai rendermi conto di cos’era fare cultura, cioè interessarsi al sapere! Un sapere molto vasto che, se vogliamo guardare, più ne sai, più scopri sempre, un bel giorno, di non sapere niente. Comunque è bello scoprire cose nuove all’infinito, leggere, ascoltare la parola di chi ne sa più di te e sa esprimersi molto bene avendo studiato molto.
SI RINGRAZIA DONATELLA SPINETTA PER LE FOTO E I DOCUMENTI
Per approfondire:
L. MELANDRI, “Il femminismo a Milano Anni ’70, Settima puntata, L’esperienza dei corsi delle donne. Il corso ‘150’ di via Gabbro 6. La Cooperativa Gervasia Broxon. 1976-1986”,
storie di ieri ..storie di oggi, non si dovrebbe mai rinunciare all'istruzione, sapere è potere